La tradizione del Diritto comune
di Andrea Sandri – Anno XIII. 2-2018 – sez. Commentaria – p. 405-414
1. Il Diritto comune
Secondo una definizione generalissima, ma non priva di verità anche se fatta oggetto di alcune critiche (Paolo Grossi (1)), il Diritto comune è il Diritto romano applicato in epoca medioevale.
Questa definizione, che risale almeno a Friedrich Carl von Savigny, che distingueva dall’uso antico un uso medievale e un uso moderno del Diritto romano, è per lo più riferita alla riscoperta del Corpus iuris civilis (2) di Giustiniano (529-534) a partire dal sec. XII in Italia. In questo studio l’utilizzeremo in termini ancora più comprensivi includendovi anche l’epoca che precede la costituzione dell’Impero Romano Germanico cui si lega anche la ripresa del Diritto romano (comune).
Se dunque l’utilizzo medioevale del Diritto romano è fatto risalire a un’epoca che si limita con il disfacimento dell’Impero Romano d’Occidente (476: deposizione di Romolo Augusto), si potrà affermare una tradizione del Diritto (romano) comune che, qualora sia considerata sotto il mero aspetto formale della trasmissione dei principali istituti, giunge fino ai nostri giorni attraverso le codificazioni moderne e le più dirette adozioni del Diritto romano in alcuni spazi politici (Catalogna, il Sud Africa tramite la recezione umanistica olandese del Diritto romano) (3).
Se inoltre, per quanto riguarda l’“uso medievale”, si segue, per sommi capi la ripartizione dello storico del Diritto Adriano Cavanna (4) – includendo però nel tempo del Diritto comune (romano) anche l’Alto Medioevo –, si possono individuare fondamentalmente tre epoche:
I) epoca feudale;
II) epoca del rapporto tra impero e comunità politiche (secc. XII-XIII);
III) epoca dei rapporti tra comunità e impero (secc. XIV-XV) sfociante nell’età moderna.
In ognuna di queste epoche il Diritto comune, concepito nella sua vocazione imperiale, epperò universale, entra in un particolare rapporto con le comunità territoriali particolari stabilendo, di volta in volta, diversi equilibri e differenti polarizzazioni dalle quali emerge col passare del tempo la volontà legislatrice dello Stato moderno e la sostanziale rottura della tradizione.