PER DARE A TUTTI IL LOGOS DELLA SPERANZA
La rivista teologica Fides Catholica vedeva gli albori il 25 marzo 2006, dietro ispirazione del Padre Fondatore dei Francescani dell’Immacolata, P. Stefano M. Manelli. Due sono gli intenti che la rivista si prefigge: primo, manifestare una filiale obbedienza teologica al magistero perenne della Chiesa, consci che il ministero del Papa deve essere «garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola»[1], così da essere insieme con S. Francesco, homo catholicus et totus apostolicus, cattolici fieri d’appartenere a quel grembo ecclesiale, alla Cattolica, così come s’esprimeva scultoreamente s. Agostino nel confermare la validità del battesimo dei donatisti; secondo, far risuonare nelle pagine che compongono il periodico, sempre quel modo di teologare che non invecchia mai perché innestato nel solco della «bimillenaria tradizione della Chiesa»[2], senza correre il rischio che la Parola di Dio «venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode»[3].
La Tradizione viva della Chiesa alla quale è consegnata la Divina Rivelazione come depositum (cfr 1Tm 6,20; 2Tm 1,14), col compito di custodirla fedelmente e di trasmetterla integerrima (dal verbo paradídomi che diventa parathéké=deposito e parádosis= tradizione/trasmissione), riconoscibile in «quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est»[4], diventa quell’ancorarsi stabile alla verità rivelata che consente alla teologia di essere sempre se stessa: di parlare a Dio e di Dio, a quel Dio e di quel Dio che si è manifestato nella storia della salvezza. Quando il “prurito della novità” solletica ad esplorare nuovi lidi che si distanziano dalla verità così come detta da Dio e custodita in un continuo approfondimento dalla Chiesa, allora viene in nostro aiuto il rimanere stabili nell’ascolto della perenne Tradizione della Chiesa. È Cristo che ci invita a rimanerein Lui, a rimanerenel suo amore (cfr Gv 15,9) se vogliamo portar frutto (cfr Gv 15,4). Essere nella Chiesa e con la Chiesa significa perciò rimanere stabili nella fede della Chiesa, arieggiando nel discorso teologico quanto già Essa professa e cercando di lumeggiare quanto è oscuro con le tre caratteristiche di s. Vincenzo di Lerins che poc’anzi elencavamo: l’universalità, l’antichità e l’unanimità. Non si tratta di scoprire “cose nuove” ma capire quanto già ci è stato detto, «sempre sapendo che questa fede ci precede»[5]. Non si tratta di inventare nuovi sistemi, ma affinare il proprio udito per capire meglio quanto lo Spirito di verità (cfr Gv 16,13) insuffla col suo alito vivificante nelle nostre deboli intelligenze. È lo Spirito di Cristo, lo Spirito di verità appunto, che cui guida sempre alla verità nella sua pienezza (cfr Ibid.)[6].
Fides Catholica nasce come rivista di apologetica teologica. Con un taglio teologico-fondamentale si desidera rilanciare il discorso apologetico o di credibilità della fede; di quella fede che chiede di essere capita per scoprire la verità su Dio e sull’uomo, quella fede che nell’alleanza con la ragione teologica rivendica la freschezza di un “pensiero forte”, che non sia il mero frutto di una speculazione dell’uomo, ma alleanza dell’uomo, del teologo, con la verità rivelata, nei sentieri sempiterni della Tradizione viva. Ci si propone allora di ridar vigore al discorso apologetico, e davanti alla ragione che ancora non crede (apologetica propriamente detta) e davanti alla ragione credente (apologetica in senso lato), ma che facilmente si lascia sedurre dal «prurito di udire qualcosa di nuovo» circondandosi «di maestri secondo le proprie voglie» (2Tm 4,3). In tal modo si vorrebbe presentare un’apologetica in duplice veste, che nell’accezione più ampia – apologetica in senso lato che sarà quella che ritornerà più spesso tra le righe di Fides Catholica – si colorerà dell’aspetto di critica teologica, scevra da ogni vuota polemica e mossa unicamente da quel desiderio di verità teologica in «lumine fidei et sub ductu Ecclesiae».
Dinanzi al panorama culturale che si staglia, sembra quasi un’arroganza parlare di “verità”, quando, il pensiero non potrebbe che formulare giudizi deboli sulle cose e sull’essere. L’arroganza della verità viene capovolta nell’affermazione di un’unica verità che darebbe senso: il relativismo, così da riformulare un nuovo principio metafisico del pensiero debole post-moderno. Non poche volte la debolezza del pensiero, quasi come un’aria che si respira inconsciamente, influenza anche il pensiero teologico, il quale, si ritrova inerme dinanzi al variegato panorama teologico-religioso, così che quando non si spinge verso quel Cristianesimo inconscio ad ogni individuo e ad ogni religione, si accontenta di una verità non arrogante, “umile”, relativa, che unisca tutti senza causar problemi ad alcuno. Senza più convertire nessuno.
Fides Catholica parte invece dal presupposto insostituibile che l’uomo è capace della verità perché è capace di Dio[7]. L’uomo è capace di una verità che interroga e chiede di capire. Quella Verità che echeggiata dalla Cathedra di Pietro, «la voce della Chiesa viva», «dona quella certezza per cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire»[8]. Ecco ciò che ha spinto e spinge tutt’oggi tanti nostri fratelli a dare la vita come suprema testimonianza del Vangelo, testimonianza della religio vera, per la quale vivere e morire, agli antipodi di quella scelta perversa e crudele del terrorismo suicida.
Il Cristianesimo sin dagli inizi ha avvertito il bisogno di elaborare una scienza apologetica per rispondere a chiunque domandasse ragione della speranza che esso porta (1Pt 3,15). Una speranza che rimane nella fedeltà di quel Dio che è il Logos fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14).
Questa unità nella distinzione tra logos e carne, tra fede e ragione, è tipica ed esclusiva del Cristianesimo. Proprio questa unità fondamentale del Logos con la nostra umanità, ha rivendicato sin da sempre l’esigenza di “vedere”, di capire. Quel «venite e vedete» (Gv 1,39) rivolto ad Andrea e a Giovanni è per ogni uomo. Sì, la fede cristiana esige che si pensi ciò che si crede, che si verifichi razionalmente se Colui del quale bisogna fidarsi e al quale affidarsi è credibile o meno. La fede cerca l’intelletto e questi è appagato quando trascendendosi, trova in Dio la norma razionale dell’essere, del pensiero e dell’atto di fede. Già s. Agostino si faceva assertore di questa esigenza esistenziale: «Nessuno crede una cosa, senza prima pensare se può essere creduta»[9], e il B. John Henry Newman, in una lettera del 1858, traduce in forma interrogativa quello che sarà il suo costante assillo espresso poi nella Grammatica dell’assenso (1860): «Perché siamo costituiti in maniera tale da essere costretti dalla nostra ragione a credere in ciò che non possiamo provare?»[10]. Parafrasando Pascal, potremmo dire che vi sono delle ragioni che la ragione stessa non conosce, o meglio, delle ragioni che superano la ragione, dandole al contempo possibilità d’essere e di pensarsi.
Rileggendo a volo d’uccello la storia del Cristianesimo, si assiste ad un passaggio significativo e progressivo: dall’apologia intesa come il dare risposta a chi chiede spiegazioni della speranza cristiana, si passa all’elaborazione di un’apologetica sistematica e finalmente si giunge, in un quadro più ampio, a concepire il discorso apologetico nell’ambito della teologia fondamentale. Basti rammentare le Apologie di s. Giustino martire, l’Adversus haereses di colui che è il fondatore della teologia speculativa, s. Ireneo di Lione, l’Apologeticum di Tertulliano, quindi un vero e proprio trattato apologetico di s. Agostino, il De vera religione. Nel periodo scolastico nasce la Summa Contra Gentiles di s. Tommaso D’Aquino, i grandi trattatati teologico-dogmatici del periodo della Controriforma, per arrivare, dopo un periodo alquanto critico a causa dell’Illuminismo, agli inizi del 1800, periodo invece propizio per un rilancio più affinato del trattato apologetico.
L’Apologetica con la scuola di Tubinga e in particolare con gli studi di Johan Sebastian von Drey (1777-1853), assume un nuovo criterio fondamentale di credibilità: non ci si accontenta di difendere il Cristianesimo come vera religione ma si cerca di dimostrare che è la religione perfetta, studiandolo nell’insieme della storia delle religioni e approfondendo in modo sistematico la Rivelazione cristiana. In tal modo, si assume come criterio apologetico fondamentale della credibilità della Rivelazione, la coerenza intrinseca della Rivelazione stessa. La Rivelazione in Cristo diventa il criterio di credibilità per eccellenza. Così la scienza apologetica viene collocata sempre più nel contesto ampio della storia della teologia e della Rivelazione in quanto tale, di cui ora se ne dà una lettura storico-teologica. Studiando la Rivelazione nel suo progressivo svelarsi, vi si colgono dei segni di vario tipo, che contribuiscono a renderla credibile, come ad esempio i miracoli, le profezie, la risurrezione di Cristo, ecc.
Così incamminati, potremmo definire l’Apologetica come «scienza della credibilità della Parola incarnata»[11], che si colloca nell’alveo della Teologia Fondamentale. Mentre quest’ultima studia la Rivelazione e la fede quali fondamenti della scienza teologica, l’apologetica, all’interno della dogmatica fondamentale, ha il compito di giustificare le verità rivelate davanti alla ragione e alla libertà, davanti alla scienza e alle altre religioni. Fides Catholica, vuole essere un umile ma forte contributo, perché la ragione continui a rivendicare ciò che è suo: vederci chiaro, come motivo di credibilità per chi ancora non crede e come motivo di porsi in discussione in modo critico quando magari si crede ma contro o senza la Professio fidei.
Il panorama teologico nel quale viviamo, accanto alle numerose luci d’approfondimento, una delle quali è proprio la nuova impostazione teologico-fondamentale, presenta anche numerose ombre. Sembra che un nuovo “superdogma” si imponga: un’interpretazione del Vaticano II sganciata dalla precedente tradizione conciliare che rifiuta quanto già la Chiesa credeva e diceva per il solo fatto che sarebbe superato storicamente dall’ultimo Concilio. Si punta sul “nuovo”, che, privo di un forte ancoraggio a ciò che è creduto “da tutti, dovunque e sempre”, rischia di diluire nella frammentarietà ogni asserzione teologica. Stralciamo una lunga citazione da uno scritto di J. Ratzinger, che descrive uno scenario non certo incoraggiante, avente nello scetticismo veritativo il suo caposaldo:
«Questo scetticismo del tutto generale nei confronti della pretesa alla verità in materia religiosa è ulteriormente consolidato dai dubbi che la scienza moderna ha sollevato riguardo alle origini e ai contenuti del cristianesimo. La teoria evoluzionistica sembra aver superato la dottrina della creazione[12], le conoscenze che concernono l’origine dell’uomo sembrano aver superato la dottrina del peccato originale; l’esegesi critica relativizza la figura di Gesù e mette punti interrogativi sulla sua consapevolezza di essere il Figlio; l’origine della Chiesa in Gesù appare dubbia, e così via. La “fine della metafisica” ha reso problematico il fondamento filosofico del cristianesimo, i metodi storici moderni hanno posto le sue basi storiche in una luce incerta. Così è naturale anche ridurre i contenuti cristiani a simboli, non attribuire loro nessuna verità maggiore di quella dei miti della storia delle religioni, considerarli come una modalità di esperienza religiosa che dovrebbe collocarsi umilmente a fianco di altre»[13].
Non ci si può pertanto arrendere dinanzi alle sfide che il nuovo millennio presenta, una delle quali, la più pressante, è il recupero della verità, non nell’arroganza di chi la impone, ma nella certezza teologica di chi da Essa è stato trovato e vuole aiutare altri a scoprirLa. Per amore della carità bisogna dire la verità. Si tratta di un equilibrio molto delicato ma vitale, l’intersecarsi di verità e carità. Dalla loro corretta circolarità dipende anche la tanto zelata unità dei fratelli cristiani nell’unica Chiesa di Cristo. Max Taurian così sentiva questo imperativo della verità che ama la carità e mira all’unità:
«Bisogna che noi amiamo la verità, ma non che l’amore della verità ci faccia dimenticare la verità dell’amore. Bisogna che noi viviamo la carità e ricerchiamo l’unità, ma non che la vita della carità e la ricerca dell’unità ci inducano a compromettere l’amore della verità nella libertà. L’equilibrio è delicato, ma c’è la preghiera fiduciosa per farci discernere la vera fedeltà alla verità in un’autentica carità e in un’ardente ricerca dell’unità»[14].
La rivista Fides Catholica sarà caratterizzata prevalentemente da una triplice sezione didattica: Historica, in cui si prenderanno in esame temi di teologia o ad essa strettamente correlati, che si dipanano in un contesto storico; Theologica, in cui si proverà a spaziare nelle varie aree dello scibile sacro sempre avendo come linea-guida una lettura teologico-fondamentale; dalla dogmatica alla morale, dalla pastorale alla spiritualità, alla liturgia, ecc; Commentaria, che sarà dedicata all’approfondimento anzitutto del Magistero pontificio, poi di opere teologiche significative Infine in chiusura saranno presentate secondo l’opportunità del momento alcune recensiones di opere teologico-apologetiche od almeno con un’impostazione di fondo che si richiami al discorso di credibilità della fede.
Vogliamo che «al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione» (Col 3,14), perché la pace di Cristo regni nei nostri cuori (cfr Col 3,15). Una teologia vera si mette in ascolto della parola di Cristo, piegando le ginocchia dell’intelligenza e dell’amore dinanzi al quel Dio crocifisso e risorto per noi. Far teologia è «pensare con il pensiero di Cristo. E possiamo farlo leggendo la Sacra Scrittura nella quale i pensieri di Cristo sono Parola, parlano con noi. In questo senso dovremmo esercitare la “Lectio Divina”, sentire nelle Scritture il pensiero di Cristo, imparare a pensare con Cristo, a pensare il pensiero di Cristo e così avere i sentimenti di Cristo, essere capaci di dare agli altri anche il pensiero di Cristo, i sentimenti di Cristo»[15]. Che la soavità della Sua verità e la dolcezza della Sua carità si facciano sentire nell’unità della nostra mente e del nostro cuore. Solo «essere nel pensiero di Cristo unisce il nostro essere»[16].
Con s. Anselmo d’Aosta supplichiamo Colui che ci guida e ci illumina: «Ti prego, Signore, fammi gustare con l’amore ciò che gusto con la conoscenza. Che io provi nell’affetto ciò che provo nell’intelligenza. Tutto ciò che sono è tuo per costituzione. Fa’ che lo sia tutto per amore»[17]. Ecco la sintesi, ecco l’ideale: «Jesus Caritas, Gesù Amore»[18]. Il pensiero dell’Amore, il pensiero nell’Amato.
NOTE
[1] Omelia perl’ Insediamento sulla “Cathedra Romana” del Vescovo di Roma Benedetto XVI, 7 maggio 2005, in «L’Osservatore Romano»del 9-10 maggio 2005, p. 7. Citeremo in seguito il quotidiano della Santa Sede con l’abbreviazione OR.
[2] Primo Messaggio di Sua Santità Benedetto XVI al termine della Concelebrazione Eucaristica con i Cardinali elettori nella Cappella Sistina, 20 aprile 2005, in OR del 21 aprile 2005, p. 9.
[3] Omelia per l’ Insediamento sulla “Cathedra Romana” del Vescovo di Roma Benedetto XVI, cit.
[4] S. VINCENZO DI LERINS, Commonitorium, 2, PL 50, 639.
[5] BENEDETTO XVI, Cooperare e collaborare con il Dio della pace che è con noi. Meditazione tenuta durante la prima Congregazione Generale dell’Undicesima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 3 ottobre 2005, in OR del 3-4 ottobre 2005, p. 4.
[6] A tal proposito, s. Vincenzo di Lerins, invitava ad avere sempre chiaro dinanzi agli occhi dell’intelligenza che il depositum fidei consegnato come “testimone” mediante una trasmissione pubblica nella Chiesa, è un tesoro di cui non siamo gli autori ma i custodi di esso: «Quid est depositum? Id est quod tibi creditum est, non quod a te inventum ; quod accepisti, non quod excogitasti; rem non ingenii sed doctrinae, non usurpationis privatae sed pubblicae traditionis; rem ad te perductam non a te prolatam; in qua non auctor debes esse sed custos, non institutor sed sectator, non ducens sed sequens. Depositum, inquit, custodi; catholicae fidei talentum inviolatum illibatumque conserva» (Commonitorium, 22, PL 50, 667).
[7] D’altronde questo è il leitmotiv dell’enciclica Fides et ratio, cfr i nn. 1-6; 100-108.
[8] Omelia per l’Insediamento sulla “Cathedra Romana” del Vescovo di Roma Benedetto XVI, cit.
[9] S. AGOSTINO, De praedestinatione sanctorum, 5, PL 44, 962.
[10] Cit. da G. RUGGIERI, L’apologetica cattolica in epoca moderna, in G. RUGGIERI (a cura di), Enciclopedia di teologia fondamentale. Storia, progetto, autori, categorie, I, Marietti, Genova 1987, pp. 317-318.
[11] F. OCÁRIZ – A. BLANCO, Rivelazione, fede e credibilità. Corso di Teologia Fondamentale, Edizioni Università della Santa Croce, Roma 2001, p. 212.
[12] Non è cosa strana che qualcuno ancora tenti di armonizzare la teologia con la teoria evoluzionistica di Darwin, sic et simpliciter, quando gran parte degli scienziati evoluzionisti ormai hanno appuntato altre vie che non sono la semplice selezione naturale. Cf. ad es. J.F. HAUGHT, Evolution and God’s Humility. How Theology can Embrace Darwin, in «Commonweal» 127/2 (2000) 12ss; Id., God After Darwin: A Theology Of Evolution, Westview Press, Boulder, Colorado 2000; Id., Deeper Than Darwin: The Prospect for Religion in the Age Of Evolution, Westview Press, Boulder, Colorado 2003. Jack F. Haught è professor di Teologia presso la Georgetown University di Washington DC, una delle più prestigiose università cattoliche (gesuita) degli U.S.A. Rimanendo nell’ambito scientifico della teoria evoluzionistica di Darwin, invece, uno dei suoi più validi assertori è Richard Dawkins con la teoria genecentrica. Il suo evoluzionismo però diventa programma per un ateismo militante.
[13] J. RATZINGER, Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 20052, p. 171.
[14] M. THURIAN, Una sola fede. In cammino verso l’unità, Piemme, Casale Monferrato 1992, p. 7.
[15] BENEDETTO XVI, Cooperare e collaborare con il Dio della pace che è con noi, cit.
[16] Ibid.
[17] III meditazione sull’umana redenzione, in Anselmo d’Aosta, Orazioni e Meditazioni, a cura di I. Biffi e C. Marabelli, Jaka Book, Milano 1997, pp. 489-491.
[18] BENEDETTO XVI, Angelus del 25 settembre 2005, in OR del 26-27 settembre 2005, p. 1.