La fede di Pietro. Note in margine al saggio di padre Serafino M. Lanzetta Super hanc petram (Edizioni Fiducia, Roma 2022)

medaglione-fides-catholica

di Padre Serafino M. Lanzetta – Anno XVIII. 2-2023 – sez. Theologica – p. 183-210

In una Chiesa che sembra aver perso continuità con la Tradizione e il Magistero perenne, l’Autore vuole porre speranza sulla sua “entità”, ossia, sul suo essere una divina istituzione che non può mutare la propria causa e il proprio fine. C’è il rischio che si possa cadere in una visione del tutto distorta, che ci allontana alquanto dal fine e dalla causa stessa, ribaltando il concetto stesso di “Chiesa” che non sembra più coincidere col Corpo mistico di Cristo. Una pastoralità fin troppo spinta sembra non voler più considerare l’autorevolezza della Tradizione, e le mutevoli circostanze preoccupano alquanto per un ligio e cattolico avvenire.

«La fede precede Pietro». Intorno a questo assunto padre Serafino M. Lanzetta costruisce e incardina il suo saggio più recente1, uno studio sull’attuale papato che si stacca dale pubblicazioni finora apparse sull’argomento per la profondità e l’acutezza dell’indagine e per la novità della prospettiva in cui inquadra questa Chiesa spenta e crepuscolare in un’ora drammatica della sua storia, come l’eloquente titolo già suggerisce.

La prospettiva con cui si guarda comunemente alla Chiesa d’oggi è quella di un Papa e di un papato che si rivestono di un francescanesimo umile e povero che piace alla gente, ma che presenta (e forse proprio perché presenta) delle carenze di munus, di quel fondamento petrino su cui deve poggiare la cattolicità della Chiesa, cioè la sua universalità, che per essere garantita dovrebbe invece restare immune da ogni charisma particolare, sia pure quello di san Francesco d’Assisi.

La prospettiva con cui un osservatore un po’ più attento vede la Chiesa d’oggi è quella di una certa opacità nelle relazioni istituzionali fra questo Papa e il suo papato e la Chiesa, con una sovrapposizione della persona di questo Papa sulla Chiesa intera.

Con un taglio che non vuole e non può essere né discorsivo né divulgativo, diverso da quello cui ci ha abituato la superficiale – e tutto sommato – vacua pubblicistica che in questo decennio ha affrontato il pontificato bergogliano, Lanzetta ce ne offer invece una lettura in chiave “onto-teo-logica”, in senso proprio heideggeriano: l’autore fa intendere fin dalle primissime pagine che solo interpretando la Chiesa come “ente” (la Chiesa come si presenta oggi nella sua dimensione storico-ecclesiologica), però nella inscindibile prospettiva del suo “essere” (la Chiesa come divina istituzione che non può mutare la propria causa e il proprio fine, che non può uscire da se stessa), si può avere ragione della Chiesa di oggi e dei suoi molteplici fronti di crisi (liturgico, vocazionale, magisteriale, dottrinale).

Si tratta di una prospettiva anticipata a suo tempo e in alter circostanze da Romano Amerio, di una Chiesa “che diviene ma che non muta”, di una Chiesa che diviene e dialoga con la storia perché vive e opera nella storia ma che non può fare un saltus ad aliud senza perdere se stessa.

La fede precede Pietro: la ragione dell’asserto sta nella natura stessa dell’ufficio del Papa, che “è quello di confermare la fede, non di crearla o di abolirla a suo piacimento. In questo senso, la fede della Chiesa rivelata da Dio precede la persona del Papa”. Nella sua omelia per l’insediamento sulla Cattedra di Roma il 7 maggio 2005, Papa Benedetto XVI ebbe a dire, al riguardo, che

«il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo».

Oggi più di ieri vediamo che invece la Chiesa premia una pastoralità fin troppo pratica e spiccia rispetto all’autenticità e all’autorevolezza della Tradizione, anche perché il metodo pastorale è certamente più adatto ad assecondare le mutevoli circostanze e quindi più efficace a rendere la Chiesa sempre più presentabile al mondo, scopo fin troppo dichiarato a partire dal discorso del 3 ottobre 1962 di Papa Giovanni XXIII. E siccome l’ontologia riesce a spiegare ancora tante cose, possiamo dire con l’Autore che la Chiesa presenta oggi al mondo il primato dell’agire sull’essere, servito sul piatto d’argento di un’autorevolezza spenta ma pur sempre residuo ed eco lontana di quell’autorità morale (quella temporale era finita a Porta Pia) che la Chiesa aveva da sempre incarnato di fronte al mondo.

Voglio arrivare a dire che la missione della Chiesa oggi è tanto più povera quanto più povera è la sua consapevolezza di essere “divina” istituzione; tanto più povera – e non in senso francescano – è questa Chiesa che sacrifica volentieri la sua missione salvifica e il suo dovere di custodia del patrimonium fidei per assumere i panni mondani del solidarismo e della sussidiarietà, di un Cristianesimo secondario filantropico, filomassonico e laicizzato. Siamo di fronte a un governo della Chiesa così poco attento al munus confermativo della fede da compromettere la rotta della Santa Navicella con quella che Amerio chiamava “desistenza d’autorità magisteriale”.

«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,13-20). Su quale pietra Gesù dice di voler edificare la sua Chiesa? Sulla fede di Pietro, di quel tale pescatore di Galilea, oppure sulla pietra che è Cristo stesso? In altre parole – si chiede l’Autore – in quale rapporto si colloca Pietro rispetto a Cristo? Insistere sulla fede di Pietro quale pietra che fonda la Chiesa, e quindi insistere sulla fede soggettiva di Pietro quasi a scapito di Gesù Cristo, non significa altro che edificare la Chiesa su una piattaforma umana, “troppo umana”. D’altra parte, insistere sulla fede di Pietro come semplice proiezione della fede di Gesù Cristo in quanto Figlio di Dio, non significa altro che togliere alla Chiesa “ogni consistenza visibile e trasformarla in un corpo invisibile senza gerarchia e senza sacramenti”.

Sarà allora proprio la fede di Cristo, che è roccia in se stesso, a costituire la fede di Pietro. È Cristo in se stesso il fondamento della Chiesa, la mediazione fra Cristo e il Padre è infatti perfetta, secondo I Timoteo (2,5), mentre gli Apostoli saranno mediatori in misura di Cristo e Pietro lo sarà ministerialiter vel dispositive, e quindi direttamente su mandato e in forza dell’autorità di Gesù Cristo;

«invece i sacerdoti della nuova legge possono dirsi mediatori tra Dio e gli uomini in quanto sono ministri del vero mediatore quali suoi vicari, nel conferire agli uomini i sacramenti della salvezza»2.

LEGGI TUTTO

vedi tutti gli articoli di questo periodico qui