Ratzinger. Il cristiano e il mondo contemporaneo
di Padre Maurizio M. Mazzieri, – Anno XVIII. 1-2023 – sez. Theologica – p. 203-221
“Essere nel mondo e non del mondo”: è questo l’insegnamento che ha lasciato Cristo ai suoi seguaci di ieri, di oggi e di domani. La Chiesa allora, quale rappresentante dell’orbe cattolico, deve per prima farlo suo.Tuttavia, come istituzione umano-divina, essa deve anche inserirsi nel progresso del nostro tempo ed essere per l’umanità sostegno e guida sicura alla verità. Analizzando lo schema XIII del Concilio Vaticano II, che tratta appunto del rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo, l’Autore, facendo suo il pensiero di Ratzinger, ne evidenzia i limiti e fornisce una chiave di lettura che permetta la corretta rilettura del Concilio Vaticano II, ossia quella secondo la mens della Chiesa e dei papi che lo hanno condotto. Sì, la Chiesa deve confrontarsi con le parole “mondo” e “aggiornamento”, deve far suoi anche i mezzi più moderni che scienza e tecnica propongono all’uomo contemporaneo, ma non può in alcun modo mettere in discussione le verità del Vangelo e il depositum fidei.
1. INTRODUZIONE
Lo schema XIII che qui prenderemo in considerazione riguarda la Chiesa nel mondo contemporaneo. Questo schema era destinato a «mostrare agli uomini il punto più avanzato, quasi la nuova frontiera cui la Chiesa, a partire dalla grande testimonianza di Giovanni XXIII, si è protesa e si protende in questi anni»1 . Così veniva presentato il testo al mondo cattolico.
E ancora riguardo al documento, mons. Emilio Guano, nel presentarlo a nome della commissione che aveva preparato lo schema, disse che si proponeva di «promuovere […] il dialogo con tutti gli uomini per ascoltarli nel loro modo di vedere le loro situazioni e i loro problemi»2 e di chiarire
«in che modo la Chiesa partecipa al progresso del nostro tempo, che cosa i cristiani possono o debbono dare come contributo per la soluzione dei grandi problemi che si pongono agli uomini in questa ora della storia»3.
Le parole che risaltano dalla lettura delle pagine dell’Opera Omnia, sono “aggiornamento” e “mondo”. Due parole che se utilizzate in un contesto e in modo errato possono portare a delle conseguenze drammatiche. Infatti c’era l’idea che l’umanità fosse in una fase di inarrestabile “progresso” e che la Chiesa, in ritardo rispetto alla storia, dovesse trovare il modo e le forme per “aggiornarsi e adeguarsi ai tempi”. Le riflessioni di Ratzinger su questo schema sono, come sempre, molto chiare e illuminanti. Le sue impressioni, che sono state raccolte nell’Opera Omnia4 , vengono presentate in due versioni ed è per questo che si trovano due testi, uno di seguito all’altro5.
2. SCHEMA XIII
2.1. Problemi inerenti ai testi
Il confronto sullo schema XIII ha costituito l’ultimo periodo di sessioni del Concilio, trattando temi ancora oggi molto discussi.
Mons. Garrone, nel presentare il testo dello schema XIII in aula conciliare, sottolineò come il problema dell’uomo fosse «l’anima di tutto lo schema», che intendeva offrire le linee guida di una «antropologia cristiana»6.
La fase preparatoria è stata improntata sulla teologia romana di tipo scolastico e per questo Ratzinger si esprime notando che, seppur provvista di formulazioni chiare e prudenti, tuttavia queste non erano adatte a fornire delle risposte convincenti:
«Erano caratterizzate da categorie più di origine antica che cristiana. Il matrimonio era concepito sotto la categoria fondamentale del fine e la sua etica dedotta astrattamente dal concetto di natura. In tal modo l’utilità sociale appariva superiore rispetto alla realtà personale»7.
Risalente all’autunno del 1965, lo schema analizza la situazione storica del tempo: nella prima parte sono sviluppate le linee fondamentali dell’antropologia cristiana e si trattano temi quali il problema dell’ateismo, del significato antropologico della tecnica e della storia, la questione della speranza cristiana rispetto alle speranze del tempo, la posizione della Chiesa nel mondo contemporaneo; la seconda parte prende posizione sul significato della scienza e della sua autonomia, sulla vita dello Stato come tale, sulla comunità dei popoli, sull’aiuto ai popoli sottosviluppati e questioni affini.
Uno dei problemi rilevati da Ratzinger per la comprensione del testo è stato il fatto che questo era stato scritto in francese e poi tradotto in latino: quindi, pensato in francese, la sua comprensione nella traduzione latina era difficile. In questo modo, dice Ratzinger, «vennero in luce i limiti del latino»8.
Ratzinger nota inoltre dei problemi di contenuto. In primo luogo si ha il dissidio tra biblicismo e modernità che a loro volta erano in lotta contro lo schematismo del pensiero neoscolastico. I testi però non erano né biblici né desunti dal mondo dell’uomo d’“oggi” e in questo modo si rischiava di appesantire la situazione ecumenica e rendere difficile la presentazione di enunciati teologici all’uomo di oggi perché staccati dalle esigenze quotidiane. Da parte della Chiesa ci si domanda, poi, quale sia la speranza da riporre in un rinnovamento che vuole accontentare tutti. A quanto appena detto si aggiunge un altro problema, che è stato designato come il dilemma tra la pretesa della fede e la libertà del dialogo. Lo schema verteva più sul dialogo, e la fede veniva presentata come un contributo alla ricerca delle cose oscure. Ratzinger sottolinea poi come nei testi si sia fatto un uso molto dubbio della categoria “popolo di Dio”:
«Quasi che il popolo di Dio sentisse i problemi degli altri uomini solo per compassione e non fosse fatto anch’esso di uomini con tutta la loro umanità e quasi che il “popolo di Dio” fosse un gruppo sociologico tra gli altri coi quali poi cerca l’unione»9.
Questo modo di esprimersi, sempre secondo Ratzinger, proiettava la fede su un piano che la deformava profondamente.
Il problema principale però che viene evidenziato da Ratzinger, sta nel rapporto fondamentale del cristiano e della Chiesa con il mondo contrassegnato dalla tecnica. Questo problema sembra essere stato risolto sulla base del pensiero di Teilhard de Chardin, mediante l’identificazione, quanto più ampia possibile, di speranza cristiana e moderna fede nel progresso, interpretando, con l’aiuto del “Cristo cosmico”, il processo di progressiva ominizzazione come un contemporaneo processo di cristificazione:
«L’utopia tecnica e l’attesa cristiana del Regno di Dio si fondono, e operare per la configurazione tecnica del mondo appare al tempo stesso come attività direttamente cristiana, preparazione del Regno stesso di Dio. La riconciliazione di cristianesimo e modernità sembra completa»10.
Questo evidenzia che ci sono delle criticità sulla questione del rapporto tra la redenzione tecnica e la redenzione della fede, progresso tecnico e speranza cristiana. La visione di Teilhard de Chardin, presentata nello schema, nella quale le due realtà si identificano, non corrisponde all’interpretazione del Cristianesimo.