Riformare la teologia “dal di dentro”. E Roma con Roma
di Padre Serafino M. Lanzetta, – Anno XVIII. 2-2023 – sez. Editoriale – p. 5-14
Ora anche la teologia, insieme alla Chiesa, è chiamata a rinnovarsi in modo “sinodale”. La sinodalità – un sostantivo che è anche e soprattutto un aggettivo e, chissà, tra poco anche un verbo – è un processo continuo, coinvolgente e di rinnovamento della vita della Chiesa. Un processo che apre a riforme senza limite. Ora, infatti, tocca alla teologia. Con un nuovo motu proprio, Ad theologiam promovendam1, del 1° novembre 2023, Papa Francesco ha approvato i nuovi statuti della Pontificia Accademia di Teologia, in linea con la Costituzione Apostolica Veritatis gaudium2 dell’8 dicembre 2017 riguardante le università e le facoltà di teologia, che andava ad aggiornare la Costituzione Sapientia Christiana, emanate da Giovanni Paolo II il 15 aprile 1979. ATP approda a conclusion molto più esplicite rispetto a VG, passando attraverso un altro discorso programmatico di Francesco, tenuto alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione San Luigi, Napoli, il 21 giugno 2019. Questo discorso fu propiziato dal convegno La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo.
- UN RINNOVAMENTO TEOLOGICO “DAL DI DENTRO”
L’ATP, carico di tutta l’esperienza sinodale della prima fase romana avvenuta nell’ottobre 2023, conclusasi qualche giorno prima della sua pubblicazione, rimarca che «a una Chiesa sinodale, missionaria ed “in uscita” non può che corrispondere una teologia “in uscita”»3, per cui «la teologia in avvenire non […] si può limitare a riproporre astrattamente formule e schemi del passato»4, ma è «chiamata a una svolta, a un cambio di paradigma»5. Ora non sono più alcuni teologi a invocare tale cambio di paradigma, ma è lo stesso Papa. Francesco, come riassunto ampiamente in VG, è del parere che oggi la Chiesa e la società si trovino a fronteggiare non un’epoca di cambiamenti, ma un vero e proprio cambiamento di epoca, segnato da una crisi antropologica e socio-ambientale, per cui è necessario cambiare modello di sviluppo globale e ridefinire il progresso6. La teologia dinanzi a questi mutamenti è chiamata a cambiare anch’essa, cambiando l’approccio apologetico, manualistico e in qualche modo enciclopedico del passato, con un pensiero che invece non è mai completo, che è attento al dialogo come capacità di incorporare il nuovo e ciò che è altro da sé. E se questo altro da sé fosse contraddittorio rispetto a sé stesso? E se ne fosse addirittura la negazione? Oltretutto, in cosa il cambiamento epocale di oggi sarebbe diverso dai tanti del passato? Nel modo di concepire la realtà o nella realtà stessa che deve cambiare, come vuole il pensiero dominante? Parlando alla Pontificia Università Gregoriana nel 2014, Francesco aveva detto:
«Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo, secondo quella legge che san Vincenzo di Lérins descrive così: “annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur ætate” (Commonitorium primum, 23: PL 50, 668)»7.
A Papa Francesco piace questo “pensiero incompleto” che a suo giudizio è quello della Compagnia di Gesù8. Aperto al maius di Dio che ora è anche e soprattutto maius “transdisciplinare”. Cos’è questa transdisciplinarità a cui è chiamata la teologia? Il Papa ne aveva parlato nella VG e ora la riprende in ATP. Si tratta di un’“interdisciplinarità forte”, non intesa come dialogo con tutte le discipline favorendo una migliore comprensione da più punti di vista, ma «come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio»9. Da qui
«deriva l’arduo compito per la teologia di essere in grado di avvalersi di categorie nuove elaborate da altri saperi, per penetrare e comunicare le verità della fede e trasmettere l’insegnamento di Gesù nei linguaggi odierni, con originalità e consapevolezza critica»10.
Se non fosse ancora chiaro che la teologia, in questo modo, deve diventare altro da sé, accogliendo in sé le categorie degli altri saperi, un interprete gesuita autorevole, il card. Michael Czerny, ci dà il significato preciso di teologia ospitale, «transdisciplinare, trasversale o sistemica»:
«Ospitare nella propria disciplina le nozioni e i modi di pensare elaborati da un’altra disciplina. “Ospitare” vuol dire portare nella propria casa campi e prospettive diversi, al punto che la propria casa ne risulta cambiata. Allo stesso tempo, occorre aver cura di non estrapolare il punto di vista della propria disciplina, imponendolo a un’altra, ma di dialogare veramente, scambiare e sviluppare»11.
Si tratta di un nuovo metodo intrinsecamente plurale, a giudizio di Czerny, «perché la realtà è plurale. Il popolo di Dio è variegato, plurale; e la Chiesa, in quanto cattolica, dovrebbe abbracciare tutti gli studi con tutta la loro varietà»12. Questo è «cercare insieme la verità, senza pretenderne il monopolio»13. Tutto ciò coopererebbe a rinnovare la teologia “dal di dentro”. Infatti, Papa Francesco parlando alla Facoltà Teologica di Napoli, nel discorso summenzionato, chiede alla teologia di adottare
«una modalità che entra in dialogo “dal di dentro” con gli uomini e con le loro culture, le loro storie, le loro differenti tradizioni religiose; una modalità che, coerentemente con il Vangelo, comprende anche la testimonianza fino al sacrificio della vita»14.
Sembra dunque che la teologia sia chiamata a “svuotarsi”, con una kenosis come perdita del proprio sé, per accogliere gli altri saperi, le altre esperienze religiose, insomma tutto ciò che è altro. Applicando questo metodo agli inizi del Cristianesimo, sarebbe come chiedere a Origene di incorporare nel suo pensiero quello di Celso filosofo, così da non scrivere più un Contra Celsum, ma un Cum Celsum per la gioia di un pensiero plurale. Non c’è bisogno di una grande intelligenza per capire che ne uscirebbe solo un grande minestrone relativista, in cui Gesù è Dio e non Dio e la sua Incarnazione è un mistero di fede e un’illusione puerile. O ha ragione Celso o Origene. Se invece, come sembra più probabile, si voglia lasciare in pace Celso e i tanti altri del passato e applicare l’inclusività teologico-sinodale solo al nostro tempo, allora si manifesta la preferenza per il tempo di oggi o per il mondo di oggi. Che saranno comunque già diversi domani. Dov’è Dio in tutto questo? O piuttosto chi è Dio?