Tecnoburocrazia sanitaria, utopia gesuitica e stato mondiale

medaglione-fides-catholica

di Claudio Meli – Anno XVI. 2-2020 – sez. Commentaria – p. 283-329

A padre John e padre Junar,

senza i quali questo articolo non sarebbe stato scritto.

Ogni bravo medico ha qualcosa del prete, ma all’idea di voler prendere

il suo posto egli può arrivare soltanto quando si sia del tutto cancellato il

confine fra salute e salvezza.

Ernst Jünger

1 LA RIFODAZIONE DEL POTERE SPIRITUALE. SAINT-SIMON

Non c’è dubbio che il clima filosofico della Restaurazione sia stato propizio a che la sistematizzazione del sapere scientifico attribuita all’Illuminismo da un tipico esponente del pensiero positivista come Hippolyte Taine si determinasse ulteriormente nella direzione dello scientismo tecnocratico, quello che tuttora informa la mentalità comune; e ciò mediante l’opera di un uomo che aveva esperito fino in fondo la vita del Settecento, il conte Claude-Henri de Saint-Simon. Acquisizione perenne del secolo decimottavo era stato per Taine il metodo analitico basato sull’osservazione dei «fatti palpabili»1 , e la sua estensione alle scienze morali, in tal modo divenute «appendice»2 di quelle fisiche: se già in ciò è possibile registrare lo sconfinamento della scienza dal suo campo e la «negazione dell’autentico spirito scientifico» di cui parlava Louis Daménie nel suo ormai classico studio su La tecnocrazia3, questo era pur sempre il terreno su cui si muoveva anche un Joseph de Maistre, allorché invitava a studiare la politica in analogia con le altre scienze4; il Savoiardo tuttavia rifiutava recisamente non solo l’idea che alla classe dirigente fosse necessaria una preparazione propriamente scientifica5 , ma anche quella di competenze specifiche in tutti i settori attinenti alla sfera del governo6, a cui invece approda un positivismo coerente7 . Questa critica di de Maistre allo scientismo illuministico, estendibile agli autori ottocenteschi che, prendendo da quello le mosse, pure diedero il loro contributo alla fase successiva della controrivoluzione8 , tanto più può essere rivolta contro lo svolgimento radicale che del motivo della naturalizzazione materialistica dell’essere umano operò Saint-Simon. Taine aveva scritto, dell’uomo considerato dalla nuova mentalità scientifica:

«Così sviluppato, prodotto, portato dalla natura, può supporsi ch’egli sia nella natura come un impero in un impero? Egli vi è come una parte in un tutto, col titolo di corpo fisico o di composto chimico o di vivente, o d’animale socievole, in mezzo ad altri corpi, ad altri composti, ad altri animali socievoli, tutti analoghi a lui, e, per tutti quei titoli, è come essi sottoposto a delle leggi. […] Ve n’ha per la nascita, il mantenimento e lo sviluppo delle società umane, per la formazione, il conflitto e la direzione delle idee, delle passioni e della volontà dell’individuo umano. In tutto ciò l’uomo continua la natura; donde segue che, per conoscer l’uomo, bisogna osservarlo nella natura, dopo di essa, e com’essa, con la stessa indipendenza, le stesse precauzioni e lo stesso spirito»9 .

È con queste premesse che Saint-Simon procederà alla riduzione del progresso della società a quello della scienza e dell’industria, e alla stessa soppressione del principio politico, sostituito con “l’amministrazione delle cose”, meritando in tal modo la qualifica di “padre della tecnocrazia”; in questo senso tuttavia il passo decisivo da lui compiuto è la proposta di rifondazione del potere spirituale. Che la filosofia illuministica si fosse venuta a configurare come una vera e propria religione, e che i philosophes ne fossero i fanatici apostoli, è un fatto dovuto, stando alla ricostruzione di Taine, alla comprensione delle nuove verità scientifiche alla luce dello spirito classico caratteristico della cultura francese, vale a dire regolare e universalistico, ma astorico, dogmatico e fondamentalmente limitato; ora, Saint-Simon conserva abbastanza di questo spirito classico, tra cui la pretesa di dedurre da una proposizione generale tutte le conseguenze dell’ente preso in esame10, il Cristianesimo nel caso specifico11 ; il rilievo conferito alla continuità storica delle istituzioni invece, congiunto all’ansia di rinnovamento religioso12, e soprattutto l’attenzione agli effetti politici e civili dell’azione del Cristianesimo in seno alla società13, si inseriscono in una diversa temperie, e dell’ultimo punto il Nuovo cristianesimo sansimoniano, libro postumo del nostro Autore, partecipa così a fondo, da realizzare «la rimozione della religione dalla sfera del divino e la sua integrazione in un sistema di discipline dirette verso mète socio-politiche»14. Dal criterio supremo della Religione cristiana da lui individuato, per cui «gli uomini devono comportarsi come fratelli gli uni verso gli altri»15, Saint-Simon conclude infatti lo scopo di quella essere di natura tutta sociale16, cioè «l’accrescimento del benessere della classe più numerosa»17, dichiarando altresì dogma e culto solamente «accessori religiosi»18, e giudica l’opera del clero nel suo essere funzionale o meno a tale finalità. Scrive Saint-Simon:

«Il clero romano è stato ortodosso fino all’avvento di Leone X sul trono papale: infatti fino a quest’epoca esso è stato superiore ai laici in tutte le scienze i cui progressi hanno contribuito ad accrescere il benessere della classe più povera; poi è diventato eretico, perché ha coltivato soltanto la teologia, e si è lasciato sorpassare dai laici nelle belle arti, nelle scienze esatte, e anche dal punto di vista della capacità industriale»19;

da qui l’idea che, nel quadro della «religione ringiovanita», siano «i dotti, gli artisti e gli industriali» a dover diventare «i direttori generali della specie umana, così come degli interessi particolari dei popoli che la compongono»20. Ma un’altra ragione, di ordine ideologico, cospira all’esito tecnocratico. Tra le virtualità della rivelazione cristiana rimaste inespresse c’è, secondo Saint-Simon, nientemeno che «l’annientamento completo del potere della spada, del potere di Cesare, che, per sua natura, è essenzialmente provvisorio»21: il dovere di «elevare le classi povere della società»22 comporta la lotta del potere spirituale contro il potere temporale, «empio nella sua essenza»23 in quanto fondato sulla legge del più forte e d’ostacolo alla promozione di quelle; dal momento che la curia romana, nella storia tratteggiata da Saint-Simon, ha cessato, a partire dal quindicesimo secolo, «di schiacciare l’aristocrazia della nascita sotto il peso dell’aristocrazia delle capacità»24, subordinandosi ai re per comodità, è «riorganizzando il potere spirituale su nuove basi» che si può far fronte al fatto che esso «è stato invaso dalla forza fisica»25.

Il primato assegnato all’interno della società, quale «regola generale di condotta»26, da Saint-Simon al proprio compendio orizzontale della “morale divina”, sembrerebbe relativizzare tanto il potere civile che l’autorità religiosa, come suggerisce questo passo:

«La nuova organizzazione cristiana dedurrà le istituzioni temporali, così come le istituzioni spirituali, dal principio che tutti gli uomini devono comportarsi gli uni verso gli altri come fratelli»27;

l’interpretazione di Olinde Rodrigues, uno dei primi sansimoniani, rafforza quest’impressione, là dove questi scrive, pubblicando l’ultimo lavoro del maestro:

«Il Nuovo cristianesimo, testamento del rivelatore, solleva al di sopra delle istituzioni spirituali e temporali un potere morale, ispiratore diretto delle belle arti, che diventa così il legame della scienza e dell’industria, della teoria e della pratica, dello spirito e della carne, dell’uomo e della donna»28;

senonché, oltre all’allusione che qui si trova alla «missione divina» da Saint-Simon esplicitamente assunta29, Louis Damé – nie spiega chiaramente come i tecnocrati suoi discepoli «saranno appunto i sacerdoti della nuova religione razionalista»: essi senz’altro «si arrogano il potere spirituale»30. Lo stesso Saint-Simon del resto aveva collocato «le belle arti, le scienze d’osservazione e l’industria, al primo posto tra le conoscenze sacre»31, e ciò si riflette nell’articolazione per cui

«diventare capi della nuova Chiesa è compito degli uomini che maggiormente sono capaci di contribuire con le proprie opere ad accrescere il benessere della classe più povera», mentre «le funzioni del clero si ridurranno a insegnare la nuova dottrina cristiana, al cui perfezionamento i capi della Chiesa lavoreranno senza sosta»32.

L’organizzazione immaginata dal pensatore francese consisteva in un collegio di esperti detto “Concilio di Newton”, che avrebbe dovuto ripristinare quella sintesi di sacerdozio e conoscenza scientifica tipica delle società arcaiche33: motivo anche questo proprio del tradizionalismo coevo34, che scorgendo rischi di destabilizzazione sociale si opponeva alla divulgazione della scienza35; avversione paradossalmente condivisa, almeno in un certo senso, dallo scientismo positivista36. Si può insomma parlare, in ottica sansimoniana, di «confusione dei due poteri»37 solo in termini di sussunzione dell’uno nell’altro, vale a dire di un vero e proprio regime sacerdotale.

LEGGI TUTTO

1 H. TAINE, L’Antico Regime (Il Despotismo prima del 1789), trad. it., Treves, Milano 1908, vol. I, p. 207.

2 Ivi, p. 199.

3 L. DAMÉNIE, La tecnocrazia, punto d’incontro della sovversione, trad. it., Il Falco, Milano 1985, p. 27.

4 Ivi, p. 25.

5 «La scienza propriamente detta, vale a dire tutto ciò che si intende sotto il nome generale di scienze naturali, ha d’altronde, in ogni caso, il difetto capitale di uccidere la prima di tutte le scienze, quella dell’uomo di Stato. Questi non si forma nelle accademie. Tutti i grandi ministri, da Suger fino a Richelieu, non si occuparono mai di fisica né di matematica, il genio delle scienze naturali addirittura esclude l’altro, che è un talento a parte»: J. DE MAISTRE, Quatre chapitres sur la Russie, in Œuvres complètes, Vitte, Lyon 1893, VIII, p. 298.

6 «Tutti i veri filosofi, tutti i veri politici, e i legislatori, che sono in fondo i più grandi tra gli uomini, concordano che gli impieghi in generale devono essere conferiti alla nobiltà e alla ricchezza. Solo il proprietario è realmente cittadino: a tutti gli altri sono senz’altro dovute giustizia, protezione e libertà in tutte le loro attività legittime; ma essi devono lasciarsi guidare. L’uomo nobile, l’uomo ricco, l’uomo sufficientemente educato dalla letteratura e dalle scienze morali ha tutto quello che serve per governare. Troppa letteratura pure è pericolosa, e le scienze naturali sono ancora più nocive all’uomo di Stato. L’inettitudine dell’intellettuale a trattare con gli uomini, conoscerli e guidarli, è una cosa universalmente nota»: ivi, pp. 304-305. Che de Maistre identifichi essenzialmente la classe dirigente nella nobiltà fondiaria importa qui meno del suo obiettivo polemico, come pure il suo elitismo.

7 «Senza dubbio l’operazione è fruttuosa solo se la ganga è abbondante e se si possiedono i processi d’estrazione; per avere una nozione giusta dello Stato, della religione, del diritto, della ricchezza, bisogna essere anzitutto storico, giureconsulto, economista, aver raccolto delle miriadi di fatti e possedere, oltre una vasta erudizione, una finezza provatissima e tutta speciale»: H. TAINE, L’Antico Regime, p. 208.

8 Sulla scorta di Comte, Renan e Taine, Charles Maurras rivendica, fra le altre proprietà richieste all’uomo di Stato, la Competenza (con la C maiuscola), contro la pretesa onnipotenza della sovranità democratica (cf C. MAURRAS, Le mie idee politiche, trad. it., Volpe, Roma 1969, p. 38), concetto questo certamente avversato anche da Joseph de Maistre; e con Maistre risolve la questione dei rapporti fra biologia e scienza politica, vale a dire in termini di analogia: ivi, p. 160; vedi anche L. DAMÉNIE, La tecnocrazia, p. 26.

9 H. TAINE, L’Antico Regime, pp. 198-199.

10 Ivi, p. 229. Secondo Thomas Molnar è propria dei positivisti medesimi, di cui Saint-Simon è preso a esempio, la credenza «nell’esistenza di una legge universale, dalla quale potessero derivare tutte le altre leggi (e fatti)»: T. MOLNAR, L’utopia, eresia perenne, trad. it., Borla, Torino 1968, p. 111.

11 C.-H. DE SAINT-SIMON, Nuovo cristianesimo, trad. it., Editori Riuniti, Roma 1968, pp. 5, 9.

12 Ivi, Introduzione di Gian Mario Bravo, pp. XXV-XXIX.

13 Esempio primario ne è il libro terzo de Il Papa dello stesso Joseph de Maistre (J. DE MAISTRE, Del Papa nelle sue relazioni con le civiltà e la felicità dei popoli, edizione italiana, BUR, Milano 1995, pp. 269-361), dove il ministro sabaudo rifonde ampiamente argomenti già esposti nei Quattro capitoli sulla Russia. È da notare come Saint-Simon sia prettamente maistriano nel denunciare la pecca del protestantesimo di «non riconoscere altri dogmi che quelli esposti dalle Scritture», quando in realtà «Gesù […] ha deposto nelle mani degli apostoli il germe del cristianesimo, ed ha incaricato la propria Chiesa di sviluppare questo germe prezioso»: C.-H. DE SAINT-SIMON, Nuovo cristianesimo, pp. 46-47; purtroppo questo discorso rientra nello sforzo sansimoniano di dimostrare che nessuna delle confessioni cristiane soddisfa i requisiti di una religione all’altezza del grado di sviluppo della civiltà moderna, ma la fiducia dell’utopista francese nella capacità di influenza del sacerdozio, come pure la nozione di una «protezione speciale» di Dio «a coloro che si sforzano di sottomettere tutte le istituzioni umane al principio fondamentale» della dottrina cristiana (ivi, pp. 61-62), risentono del pensiero di de Maistre; questo funge da polo dialettico inoltre della posizione che Saint-Simon assume di fronte al potere sovrano, a cui, pur delegittimandolo, si appella, e d’altra parte una monarchia svuotata di sovranità «gli si confà alla perfezione»: L. DAMÉNIE, La tecnocrazia, p. 28.

14 T. MOLNAR, L’utopia, eresia perenne, p. 86.

15 C.-H. DE SAINT-SIMON, Nuovo cristianesimo, p. 4.

16 Ivi, Introduzione, p. XXX.

17 Ivi, p. 14.

18 Ivi, p. 18.

19 Ibidem.

20 Ivi, pp. 43-44.

21 Ivi, p. 62.

22 Ivi, p. 24.

23 Ivi, p. 32.

24 Ivi, p. 26.

25 Ivi, p. 60.

26 Ivi, p. 61.

27 Ivi, p. 9; e più avanti: «La dottrina religiosa […] regolerà allo stesso modo tanto l’azione del potere temporale quanto quella del potere spirituale»: ibidem.

28  O. RODRIGUES, cit. in C.-H. DE SAINT-SIMON, Nuovo cristianesimo, Introduzione, p. XXVI.

29 Ivi, p. 62.

30 L. DAMÉNIE, La tecnocrazia, pp. 34-35.

31 C.-H. DE SAINT-SIMON, Nuovo cristianesimo, p. 44.

32 Ivi, p. 12.

33 T. MOLNAR, L’utopia, eresia perenne, pp. 225-226.

34 «La scienza, al suo inizio, fu sempre misteriosa e restò chiusa nell’ambito dei templi, dove infine si spense quando questa fiamma non poté servire ad altro che a bruciare»: J. DE MAISTRE, Le serate di Pietroburgo, trad. it., Rusconi, Milano 1986, p. 75.

35 «La scienza gonfia. Chi ha detto questo non ha solo composto una frase da pulpito: è un motto molto filosofico, e i sovrani lo devono tenere a mente di continuo. Il figlio primogenito della scienza è l’orgoglio. Questo orgoglio è immenso, e non può sopportare da nessuna parte il secondo posto. Ce l’ha soprattutto con la nobiltà che lo offusca; e dovunque cerca di toglierla di mezzo, perché è lei che governa, e vuole essere lui a governare»: IDEM, Quatre chapitres sur la Russie, pp. 301-302.

36 «I dogmi sui quali deve fondarsi la futura coesione sociale, affermava Comte, devono essere elaborati da autorità competenti il cui amore per il popolo sia indiscusso, al disopra di qualsiasi altro interesse. Secondo l’opinione di Comte, le masse non sarebbero abbastanza intelligenti da comprendere i dogmi, tuttavia esse dovrebbero essere incrollabili nella loro convinzione circa la necessità di credere in essi»: T. MOLNAR, L’utopia, eresia perenne, p. 226.

37 D. BAGGE, cit. in L. DAMÉNIE, La tecnocrazia, p. 36.

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