Beato Giovanni Duns Scoto: Questione quodlibetale, n. XVIII
di Padre Alessandro M. Apollonio, – Anno XVII. 2-2022 – sez. Theologica – p. 85-110
Nel presente articolo l’Autore si accinge a tradurre, dalle Quæstiones quodlibetales, la diciottesima questione in cui il beato Giovanni Duns Scoto si domanda: l’atto esteriore aggiunge una certa bontà o malizia all’atto interiore? La problematica era stata già trattata dagli Scolastici, i quali rispondevano generalmente in modo affermativo. Anche san Tommaso era dello stesso parere, ma solo nel senso che l’atto esterno aumenta l’intensità della bontà dell’atto interno. Qui comincia il contributo del Dottor Sottile: proprio perché “l’atto voluto”, ossia interiore, è “ragione e causa” della “bontà dell’atto esteriore”, bisogna ammettere due bontà distinte nei due atti. La prima conseguenza, sul piano morale e spirituale, è l’accresciuta importanza degli atti esterni imperati, sia nel bene che male, a conferma delle parole del divin Salvatore: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).
1. INTRODUZIONE
La domanda che ci accingiamo ad affrontare riguarda l’atto deliberato della volontà, che è interiore, e il suo rapporto con il rispettivo atto imperato della facoltà esecutiva, che è esterno (per esempio, la volontà che uno ha di fare l’elemosina e l’atto esterno con cui egli la compie realmente).
«È, dunque, questo il senso della questione, in cui c’è la difficoltà principale: l’atto esteriore, quando è congiunto in uno stesso soggetto all’atto interiore, possiede una bontà propria, distinta dalla bontà dell’atto interiore?» (infra, § 2).
La questione era stata già trattata dagli Scolastici, i quali concludevano generalmente in modo affermativo. Così la Glossa, Alessandro di Hales e, successivamente, Giovanni de Bassolis, Tatareto, Rada, Herrera, Anglés.
Anche san Tommaso risponde affermativamente alla questione, ma solo nel senso che l’atto esterno aumenta l’intensità della bontà dell’atto interno, per sé e per le circostanze aggiunte. Oltre a questo, però, san Tommaso non sembra attribuire all’atto esterno una qualche bontà morale intrinseca, seppure derivata dall’atto interno di volontà, distinta dalla bontà di questo. Esponendo la sua soluzione, afferma:
«La volontà non è perfetta se non è tale da operare appena l’occasione si presenta. Se invece manca questa possibilità, ma il volere rimane pronto ad agire, la mancanza di perfezione da parte dell’atto esterno di suo è cosa involontaria. Ma l’atto involontario, come non merita il premio o la pena, operando il bene o il male, così non toglie nulla del premio o della pena, se l’uomo involontariamente semplicemente viene meno nel compiere il bene o il male»2 ; così che «la bontà dell’atto esteriore […] non è diversa dalla bontà della volontà che esso ha dallo stesso atto voluto, ma è comparata ad essa come sua ragione e causa»3.
Qui comincia il contributo del Dottor Sottile. Proprio perché “l’atto voluto”, ossia interiore, è “la ragione e causa” della “bontà dell’atto esteriore”, bisogna ammettere due bontà distinte nei due atti:
«Se a causa dell’atto interiore, ovvero mediante di esso, l’atto esteriore possiede la convenienza alla sua regola, allora l’atto esteriore possiede una convenienza diversa rispetto a quella dell’atto interiore. Una stessa cosa, infatti, non è causa, né mezzo, di se stessa; e non è nemmeno causa, né ragione della mediazione verso se stessa» (infra, § 14).
E conclude:
«Altra è l’integrità di quelle cose che secondo il dettame della retta ragione deve convenire all’atto interiore, e altra è l’integrità conveniente all’atto esteriore; dunque, qui c’è anche un’altra bontà morale. Di conseguenza, c’è anche un’altra malizia morale, sia solo privativa, perché c’è un’altra mancanza di quelle cose che devono convenire, sia contraria, perché c’è un’altra sconvenienza ripugnante a quelle cose che devono convenire» (§ 12).
Tutti gli altri argomenti, che toccano vari punti nevralgici della dottrina morale cattolica, sono a sostegno di questa tesi, la cui prima conseguenza, sul piano morale e spirituale, è l’accresciuta importanza degli atti esterni imperati, sia nel male sia nel bene, a conferma delle parole del divin Salvatore: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).
L’ATTO ESTERIORE AGGIUNGE UNA CERTA BONTA O MALIZIA ALL’ATTO INTERIORE?
Testo del beato Giovanni Duns Scoto
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Prendiamo ora in esame la comparazione dell’atto intrinseco della volontà all’atto estrinseco. Forse che l’atto esteriore aggiunge una certa bontà o malizia all’atto interiore?
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Argomenti per il no
Quello che non ha ragione di atto volontario non ha ragione di bene o di male; ma l’atto esteriore, in quanto distinto dall’atto interiore, non ha ragione di atto volontario, perché tutto il volontario che c’è in esso viene dall’atto interiore. L’atto esteriore in sé, dunque, non ha né bontà né malizia; ma tale atto può aggiungere solo quello che possiede in sé; dunque, [l’atto esteriore non aggiunge né bontà né malizia all’atto interiore].
Contro. Le cose proibite da precetti negativi distinti hanno una ragione propria e distinta di atto illecito. Ma c’è un precetto che proibisce l’atto esteriore e un altro precetto che proibisce l’atto interiore, come è evidente da questi precetti: “Non commetterai adulterio” e “non desidererai la donna d’altri”, ecc. E similmente anche da questi precetti: “Non ruberai” e “non desidererai la roba del tuo prossimo”, ecc.
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- Questa questione ha una difficoltà maggiore circa la bontà dell’atto morale, perché, considerando la bontà dell’atto naturale, qualsiasi cosa si intenda per essa, sembra evidente che essa sia realmente diversa, di altra natura [nei diversi atti]. Ma è evidente che la natura dell’atto interiore è diversa dalla natura dell’atto esteriore. Anzi, questi atti sono emessi immediatamente da diverse facoltà: l’interiore è emesso dalla volontà, l’esteriore da una facoltà esteriore, benché per il comando della volontà.
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Per esempio, se un supposito avesse l’atto interiore, e un altro supposito avesse l’atto esteriore; né quando siano in uno stesso supposito, separatamente, in momenti diversi; ma la difficoltà c’è quando tali atti siano congiunti in uno stesso supposito in modo tale che dall’atto interiore segua l’atto esteriore.
In terzo luogo, non si ricerca l’aggiunta di bontà o malizia secondo l’intensità, ma secondo l’estensione. Frequentemente, infatti, accade che, sia nei buoni, sia nei cattivi, l’atto di desiderio verso un oggetto assente sia più attenuato rispetto all’atto di desiderio verso un oggetto presente, il quale desiderio è chiamato “amore” da Agostino, nel libro IX de La Trinità, in ultimo, dove dice: “L’appetito del ricercatore è l’amore del fruitore”4 . Forse, però, l’atto verso l’oggetto presente non è più intenso rispetto all’atto verso l’oggetto assente, ma è semplicemente un atto diverso. Ma sia che l’atto del desiderio e dell’amore siano lo stesso atto, sia che fossero realmente diversi, almeno l’atto di amore è più perfetto intensivamente. Acquieta, infatti, la volontà in un modo che l’atto del desiderio non può acquietare. Quando, infatti, si ha l’atto esteriore, allora, per quella circostanza, l’atto interiore si intensifica. Di questo, però, non ci occupiamo, ma ricerchiamo se l’atto esteriore per sé aggiunga un’altra bontà alla bontà che è nell’atto interiore.